Cerco di evitare più che posso di usare il termine Serious Games, ma non posso far finta di ignorare che questo sia il termine più spesso utilizzato quando si parla di giochi educativi, anche se le due cose non coincidono. Vediamo di capirci qualcosa di più.
Un “gioco serio” si definisce a grandi linee come “un gioco progettato per uno scopo primario diverso dal puro intrattenimento” e molti concordano che il ricercatore americano Clark C. Abt sia responsabile della creazione del termine e della formalizzazione del concetto come è noto e usato ai giorni nostri.
L’idea che il gioco possa essere per qualcosa più che puro intrattenimento non è nuova. In letteratura circola una citazione dalle Leggi di Platone in cui lo Straniero Ateniese sostiene che sarebbe una buona idea dare ai bambini attrezzi che imitino la funzione degli attrezzi usati dagli adulti, in modo da iniziarli ad una possibile attività lavorativa attraverso il gioco fin dalla tenera età.1La traduzione inglese che ho trovato liberamente online non corrisponde alla citazione che circola, ma l’idea è quella. Ma quest’idea ha senso anche senza scomodare i classici, ed è comunque un argomento per un altro giorno.
Oggi, un serious game è principalmente un videogioco educativo o didattico, ma non è sempre stato così: anche se l’intenzione era educativa, non è che chiamavamo The Landlord’s Game un serious game. Per esempio, sia Magic: The Gathering che SimCity possono insegnarci strategia, pianificazione e resilienza di fronte ad eventi avversi perché entrambi i giochi sfruttano il meccanismo “pesca una carta” in cui non sai mai cosa potrebbe accadere in un determinato momento, sia con un avversario umano, nel caso di MTG, sia che l’avversario sia il mondo del gioco, nel caso di SimCity. Eppure non chiamiamo neppure questi serious games. A ben guardare, agli albori dei computer digitali, i videogiochi venivano usati come strumenti di ricerca, per sviluppare e testare nuovi algoritmi, migliorare le tecniche di programmazione, e come mezzi per mostrare al pubblico che i computer potevano essere divertenti e interessanti, e non spaventosi. Questioni abbastanza serie!
Ma concentriamoci sui videogiochi. C’è stato un momento, tra gli anni ’80 e ’90, in cui i videogiochi hanno iniziato ad essere commercializzati e percepiti come giocattoli per bambini. Allo stesso tempo, è iniziato a emergere un nuovo tipo di videogioco: quello educativo. Ne ho già parlato e, sebbene ci siano stati alcuni sforzi coraggiosi nell’edutainment, c’è stata anche una certa reazione avversa da parte del pubblico, giocatore e non, a causa di fraintendimenti e rappresentazioni tendenziose. Insomma, i videogiochi educativi non godono esattamente di una grande reputazione tra i giocatori. Aggiungere l’etichetta “serio” ai videogiochi educativi non fa altro che rafforzare l’idea che questo tipo di giochi non debba o possa essere divertente, ma che sarebbe meglio comunque giocarci perché “fa bene” o, peggio ancora, perché “lo dice l’insegnante”. È curioso che persino Clark C. Abt non trovasse buoni motivi per cui i serious games non dovessero essere divertenti, eppure siamo qua.
Giochiamo alle definizioni
Ricapitolando: 1. i giochi seri sono giochi; 2. i giochi sono generalmente divertenti. Su questo penso non ci piova. Dal mio punto di vista, i giochi seri conservano l’aspetto dell’intrattenimento proprio dei giochi grazie al fatto di essere, appunto, giochi, e ci aggiungono un aspetto educativo. Quindi, una definizione migliore di serious games potrebbe essere più o meno “giochi che hanno uno scopo extra oltre all’intrattenimento”.
Non facciamo l’errore di confondere “divertente” con “buffo,” o “intrattenimento” con “divertimento spensierato” o “giochi da bambini” e così via, perché se vogliamo che nessun tema sia fuori portata del medium videoludico, dobbiamo accettare che alcuni temi meritino di essere trattati con rispetto. In cima alla pagina ho messo una foto di una partita di Pandemia, un gioco cooperativo in cui i giocatori cercano di debellare una serie di focolai di malattie infettive in giro per il mondo, lavorando insieme per raggiungere vari obiettivi come trovare cure e vaccini, schierare risorse mediche, scambiare conoscenze e risorse, e così via. Mi sono divertito a giocare a Pandemic, ma non lo trovo buffo. Lo trovo coinvolgente e stimolante. Mi fa apprezzare le difficoltà nell’organizzare ricerca e sviluppo su una nuova malattia e, guarda caso, il gioco è del 2008, e proprio ora stiamo uscendo da una situazione simile.
L’etichetta “serio” corre il rischio di eclissare il vero potenziale di questi giochi. Può sembrare superficiale ma, rimuovendo questa distinzione, permettiamo ai serious games di riprendere il loro legittimo posto nello spazio dei videogiochi, come prodotti di un medium che può essere altrettanto informativo quanto divertente ed appassionante. Non ci sbarazzeremo così dei giochi educativi progettati male, ma cambiare la percezione dei giochi seri tra educatori, giocatori, ricercatori e progettisti di giochi può favorire una maggiore sinergia tra queste figure, e contribuire a creare esperienze di apprendimento coinvolgenti e divertenti, più efficaci e meglio accolte.
Quindi, possiamo smettere di chiamare i giochi seri “seri”? La vera domanda è se dovremmo farlo, e la risposta è sì. Possiamo farlo? Ci vorrà lavoro e la partecipazione di volontari provenienti da ogni area del game design, della ricerca, e dell’industria dei videogiochi in generale, per interagire tra di loro e cercare un processo di progettazione e valutazione che possa garantire che i valori di intrattenimento e di educazione si integrino nel prodotto finale e possano essere valutati con rigore per efficacia educativa e valore ludico.
Interessa? Benvenutə a bordo! I miei contatti sono sparsi un po’ ovunque e io sono tutt’orecchi! 🙂
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Questo post si basa liberamente su un articolo che presenterò a GoodIT 2023, dove co-modererò anche una special track sui giochi. Se qualcuno si trovasse a Lisbona, Portogallo, tra il 6 e l’8 settembre, mettiamoci in contatto e sarò ben felice di fare due chiacchiere! L’articolo verrà pubblicato come segue, quindi segnatevelo ora.
Andrea Franceschini and Antonio Rodà. 2023. Play to Learn: from Serious Games to just Games. In ACM International Conference on Information Technology for Social Good (GoodIT ’23), September 06–08, 2023, Lisbon, Portugal. ACM, New York, NY, USA, 11 pages. https://doi.org/10.1145/3582515.3609525
@inproceedings{playtolearn,
author = {Franceschini, Andrea and Rod\`{a}, Antonio},
title = {Play to Learn: From Serious Games to Just Games},
year = {2023},
isbn = {9798400701160},
publisher = {Association for Computing Machinery},
address = {New York, NY, USA},
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pages = {117–127},
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keywords = {entertainment, video games, digital games, serious games},
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- 1La traduzione inglese che ho trovato liberamente online non corrisponde alla citazione che circola, ma l’idea è quella.
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